Tra paradossi politici, candidati a perdere, gaffe degli avversari e appoggi inaspettati, ora per Calenda il Campidoglio non è più un sogno
Si concludono le campagne elettorali per le elezioni amministrative in molte importanti città e non sono poche le cose strane che sono accadute e alle quali cerco di dare un senso.
Tralasciando gli accordi sottobanco tra Pd e Movimento 5S, pronti a sostenersi in caso di ballottaggio, è la situazione del centrodestra la più paradossale. I sondaggi nazionali danno la coalizione tra Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia quasi al 50%, ma per le elezioni comunali ha scelto candidati deboli, “a perdere“ si dice in questi casi. Certo che questa coalizione, ri-messa insieme per contrastare l’asse Pd-Cinque Stelle, è piuttosto eterogenea e comprende sovranisti come FdI e parte della Lega e governisti come l’altra parte della Lega e Forza Italia. E le scelte dei sindaci rivelano tutta le differenze e le tensioni all’interno del centrodestra, ma anche degli stessi partiti che la compongono. Insomma, è chiaro che per i politici è più facile trovare un accordo per governare il Paese che per vincere in una città.
L’ha detto senza mezzi termini il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti che nel suo partito, la Lega, convivono “sensibilità diverse”, intendendo la sua, governista, e quella di Matteo Salvini, sovranista. I due ora sono entrambi leader della Lega: Salvini che prova a fare opposizione accreditato dai suoi fedelissimi sostenitori e Giorgetti il cui crescente consenso deriva dall’allineamento delle proprie posizioni a quelle del governo Draghi. I due ex amici sembrano ormai inconciliabili nello stesso partito e sarà interessante vedere come andrà a finire. Intanto Giorgetti ha bocciato i “propri” candidati sindaco prevedendo la vittoria in larga scala del centrosinistra e ha addirittura auspicato la vittoria di Carlo Calenda a primo cittadino di Roma. L’uscita di Giorgetti, quindi, è strumentale, ma Calenda è davvero un buon candidato, il migliore tra quelli che corrono per il Campidoglio. Non ha un vero partito dietro e questa è la sua unica debolezza o forse è un merito, considerato il comportamento scellerato degli schieramenti in queste elezioni comunali. Mentre i suoi avversari collezionano figuracce, lui è l’unico “sul pezzo” e a Roma la situazione è ancora fluida: i sondaggi cambiano quotidianamente e alla chiusura della campagna i quattro candidati principali, Gualtieri, Michetti, Raggi e appunto Calenda, sono pressoché alla pari. Tra tutti Calenda è l’unico in ascesa e sembra in grado di intercettare gli scontenti di tutti gli schieramenti. Probabilmente non basterà a portarlo al Campidoglio, perché se arrivasse al ballottaggio, e sarebbe già un risultato clamoroso, faticherebbe a trovare partiti disposti ad appoggiarlo. Ma a quel punto deciderebbero i romani e nella Capitale non si sa mai come va a finire.